Nonostante il pomeriggio feriale, notevole successo di pubblico e consensi per il quarto appuntamento di “Viterbo, la città delle donne”, iniziativa voluta e finanziata dal Comune di Viterbo e dal Distretto per l’Etruria meridionale e affidata alle cure della Banda del racconto.

di Antonello Ricci
Per quanto raddolcita dal tempo e dalle cure umane (quest’ultime non proprio costanti né sempre debite) la collina più famosa del medioevo sa ancora di brullo, desertico, ventoso. Danno una mano l’ora – il tardo pomeriggio – e il meteo – variabile ballerino oggi, con continue vicende di nuvole e sole. Forse ancora un poco somiglia, questo desolato-poetico paesaggio a come dové ammirarlo un giorno, sul principio del secolo XIV (certo con la testa altrove, tutt’ingombra di neri pensieri) il gran fiorentino Dante. In cima al poggetto, cinta da pannellature in vetro, la polla sulfurea, per quanto sofferente, si ostina a bulicare e fumigare proprio come allora. A fianco, il monumento in grezzi blocchi di peperino sovrapposti a mo’ di stele. Obelisco voluto dal Touring Club nel 1921 (annus horribilis per la tormentata storia del nostro Paese: proprio come al tempo delle lotte tra guelfi e ghibellini) per celebrare il secentesimo della morte del vate. Con l’epigrafe dei versi memorabili: “Quale del Bulicame esce ruscello”. Già solo questo avrebbe meritato una passeggiata.
Pensavamo noi di Banda: l’appuntamento stavolta è feriale, e pure diurno, la gente non verrà. E invece la gente arriva. E manco poca (tiro a indovinare: una novantina?) E ci sta a sentire, a bocca aperta, per quasi un’ora e mezza, girando-girando, in senso antiorario tutt’intorno alla sorgente consacrata in Inferno XIV e tenuta a lungo, nell’immaginario medievale, per bocca d’inferno. Facciamo tappa, di volta in volta, in mezzo alle splendide fioriture desertiche progettate dall’UNITUS nella piazzola d’ingresso; sotto a un fico che ombreggia la vasca circolare, quella minore; nel mini anfiteatro di pietre antiche abbandonate sistemate ai piedi della stele; infine nell’avvallamento, usando per fondale la stupefacente “murata” di depositi travertinici che segnala i resti d’uno dei “ruscelli” danteschi, le derivazioni che dovevano partirsi “tra lor” le donne viterbesi. Che fossero prostitute (peccatrici) o contadine di Piescarano (pettatrici della canapa) qui non importa. Le novelle son belle proprio perché quelli come noi, i “cantapoeti” (Giancarlo Tancredi dixit), le sanno rappellare, lasciando pieno spazio all’alta fantasia di ciascuno.
Canto per canto tocca a Beatrice e Pia, a Piccarda e Sapia. Potremmo seguitare, ma l’ora si va facendo tarda. L’applauso finale ci gonfia il cuore d’orgoglio. Bravissimi Roberto Pecci alle percussioni, Pietro Benedetti a regia e letture e – soprattutto – Laura Antonini, che ha saputo infondere voce – da par suo – alle Senza-Voce della storia, maschio-centrica per definizione. Infine il sottoscritto: toccava a Dante, non potevo esimermi, ho letto anch’io: con particolare piacere l’episodio di Forese Donati, fratello di Piccarda, bravo poeta e amico di Dante. Chissà se nel suo avello il Divino si sarà accigliato. Lui, così consapevole della propria altezza poetica, noi così umili (piccoli-piccoli). Ma il desiderio era celebrare la sua Commedia. Per amore, scevri d’ogni superbia. Per questo, se non per altro, egli saprà perdonarci. E di ciò, dal nostro al-di-qua, gli rendiamo grazie.

Il prossimo appuntamento con “Viterbo, la città delle donne” è fissato fin d’ora per domenica 1 ottobre sul sagrato dell’abbazia di San Martino. Passeggeremo in compagnia di Donna Olimpia sulla scorta di una dimenticata quanto intrigante biografia vergata con la penna intinta nel veleno appena pochi mesi dopo la morte della Pimpaccia de piazza Navona (nonché principessa del borgo gioiello dei Cimini). Non mancate.

Ma Banda del racconto e Comune di Viterbo torneranno alla ribalta insieme già dalla prossima settimana, in piena sinergia d’intenti e a braccetto con il Comitato festeggiamenti di Pianoscarano Carmine e Salamaro nella cornice della locale festa dell’Uva: giovedì 21 in piazza Scotolatori, toccherà infatti alla proclamazione dei vincitori de “La léngua vitorbese” primo concorso a premi per la miglior poesia in dialetto viterbese; venerdì 22 invece, nella prestigiosa aula magna UNITUS di San Carlo presenteremo al pubblico il libro che ripropone poesie e prose dialettali dell’indimenticato Emilio Maggini, capostipite della dialettalità piescaranese. In tal senso ieri, al momento dei saluti iniziali, ho avuto il piacere di omaggiarne la primissima copia, fresca-fresca dei torchi di Davide Ghaleb Editore, alla vice-sindaca Luisa Ciambella. Passeggiate, DVD, premio di poesia, libro: tutte iniziative di recupero di memoria e dignità civica e civile, volute e finanziate dal Comune di Viterbo. Per una scommessa sul futuro. Grazie, Luisa, noi di Banda siamo al tuo, al vostro fianco.

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