di Alessandro Tozzi
Non tutte le medaglie sono uguali, non tutte le discipline sono uguali nemmeno alle Olimpiadi, a parte quelle davvero poco olimpiche, come il calcio e il tennis.
Oggi verso mezzogiorno nel giro di qualche minuto ci siamo giocati ai quarti di finale in rapida sequenza, molto simile a quella di Tamberi/Jacobs ma al contrario, la nazionale maschile di basket e quella di pallavolo.
Storie molto diverse peraltro.
La Nazionale di basket era qui dopo un miracolo avvenuto in Serbia un mese fa, e l’onda lunga ci aveva consentito di passare un girone non facile ma alla nostra portata con due vittorie; oggi la Francia sembrava un ostacolo insormontabile, soprattutto dal punto di vista fisico, visto che l’ultimo pivot italiano di livello è stato Dino Meneghin e loro hanno un paio di giganti.
La partita è stata combattuta fino al 73/73 a due minuti dalla fine, poi l’hanno vinta i francesi, ma non l’ha persa l’Italia, che verrà ricordata dai tifosi come compagine cazzuta che con qualche innesto ha la possibilità di tornare dopo 20 anni a lottare per qualcosa che non sia la qualificazione agli Europei. Un grande e sempre silenzioso Meo Sacchetti, anche più dei giocatori stessi, ne è l’emblema migliore: che si giochi con Moraschini o Gallinari, lui cerca di farli giocar bene comunque. E semmai i 2/3 giocatori che qui non c’erano, e forse non ci saranno più, dovrebbero farsi un esame di coscienza per capire se la loro rinuncia era davvero dettata da precarie condizioni fisiche, o dalla paura dell’ennesimo flop estivo.
Discorso tutto diverso per il volley, dove peraltro l’allenatore Blengini lascia dopo qualche anno e arriva Fefè De Giorgi, storico giocatore azzurro, esattamente come Meo Sacchetti. Qui non eravamo i favoriti, ma nel gruppo delle 5/6 squadre che ambivano a una medaglia quello si, con buone possibilità di conquistarla. In questo trentennio dai mondiali del 1990 con Velasco, il volley ha dato molto allo sport italiano, tranne che un’Olimpiade, anche se come ricordava proprio ieri Velasco il problema è lamentarsi di non averla vinta, ma nel frattempo fallire anche gli altri obiettivi: in pratica l’ultima vera vittoria italiana è datata 2005.
In questi 30 anni abbiamo fatto tre finali olimpiche, con il pensiero che prima o poi ce l’avremmo fatta, magari l’anno che non eravamo davvero i migliori, perché poi nella vita così funziona, e allora anche questo 2021 poteva essere buono per provarci, o almeno per confermarci.
Premesso che le squadre di livello sono ormai almeno 8, e che dunque una sconfitta tirata in 5 set contro l’Argentina che 2 giorni prima aveva demolito gli Stati Uniti ci può anche stare, è chiaro che il volley italiano sta attraversando un periodo non ottimale, che possiamo definire di transizione positiva, visto che comunque a livello mondiale noi fra quelle migliori 8 fino ad oggi più o meno siamo sempre stati. Questo perché il movimento è molto vivo (la pallavolo è lo sport più praticato in Italia), aiutato in questo anche dalle ragazze (un crepi il lupo serbo per domani), e dunque anche in una fase di transizione sei comunque vivo, persino se il tuo miglior giocatore, Ivan Zaytsev gioca un’Olimpiade scadente.
Spiace per un grande Juantorena, che lascia, e per chi se ne andrà, ma abbiamo fiducia che si possa tornare a breve a lottare per grandi traguardi, e magari finalmente sfatare il tabù olimpico.
Oggi una sola medaglia italiana, ma di un oro splendente, viene dal catamarano, e stavolta Malagò ci ha messo direttamente del suo perché Caterina Banti è del Canottieri Aniene, l’ha cosparsa di sale alla partenza e l’ha buttata in acqua tipo merluzzo decongelato.
Grandi emozioni dal ciclismo su pista, dove la nazionale maschile guidata da Filippo Ganna ha frantumato il record del mondo e domani si gioca la medaglia d’oro. Toccate punte da 70 all’ora, con media di 64 e rotti, davvero 4 minuti da vivere di un fiato. Nell’altra semifinale è successo un patatrac peraltro, la favoritissima Danimarca all’ultimo giro non si è accorta che un atleta inglese (e chi altri sennò?) attardato era in pista, ed è stato travolto dal capofila danese. Mi sarei atteso la squalifica dei danesi, ma nelle pieghe del regolamento al momento hanno trovato un modo per dargli ragione, e domani si giocano l’oro, saranno fuoco e fiamme.
Torna in pedana la Biles, che vince il bronzo alla trave, disciplina che per chi soffre di twisties a me non pare la più indicata del mondo per provare a superare il periodo buio.
Notizie sempre assai gravi dal pugilato, dove i giapponesi hanno scippato due ori, uno maschile e uno femminile; nel primo caso addirittura l’atleta giapponese finito vincitore è tornato negli spogliatoi su una sedia a rotelle per i colpi presi, ma vincitore: io metterei la giuria nelle mani del perdente, in una sorta di legge del taglione del terzo millennio.
Un’ultima cartolina dall’atletica. La mia generazione, ormai vegliarda, è cresciuta col mito di Edwin Moses, l’americano che vinse a cavallo degli anni 70/80 122 gare di seguito, dominando i 400 ostacoli come mai accaduto a nessun altro nella storia dell’atletica.
Il suo record era 47.02, inavvicinabile da essere umano per un decennio, se non dal tedesco Harald Schmidt, l’ultimo a batterlo prima della grandinata di 122 vittorie.
Oggi un norvegese ha corso in 45.94, nuovo record del mondo.
Una parola è troppa, e due sono poche.

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