di Alessandro Tozzi
Ho un’immagine sfocata che ogni tanto torna a galla, da un passato dimenticato.
17 maggio 2000. La Lazio ha appena vinto il suo secondo soffertissimo scudetto.
Peppe Giannini, detto il Principe, bandiera romanista, lascia il calcio giocato e organizza la partita di addio, presenti tantissimi campioni.
A fine primo tempo monta la contestazione contro la società (la Roma era finita sesta quell’anno), mezza Curva Sud entra in campo, divelle le porte e le panchine, e di fatto impedisce la prosecuzione della partita: un Giannini incredulo, e in lacrime, saluterà la sua gente senza aver capito bene cosa stesse succedendo, e perchè ci fosse andato di mezzo proprio lui.
Pochi giorni dopo Sensi, intuendo la mala parata, per stare al passo di Cragnotti spende 100 miliardi e passa comprando Batistuta, Samuel ed Emerson: l’anno dopo sarà scudetto, o “scucetto” che dir si voglia.
Debiti che la Roma, virtualmente ancora in mano a Unicredit, si porta dietro da 20 anni.
Perchè a Roma la situazione da anni è questa: fino a che una delle due non vince niente, le due tifoserie vivacchiano sfogandosi con le radio e con qualche scaramuccia; non appena una delle due si avvicina a un traguardo, l’altra comincia a contestare pesantemente.
Era accaduto anche a Lotito nel 2014, peraltro contestato praticamente sin dall’inizio per ben altri problemi, peraltro solo pochi mesi dopo la storica vittoria del 26 maggio 2013.
I successi della Roma di Garcia avevano talmente esacerbato la tifoseria che il 23 febbraio 2014 la Curva organizzò una giornata dal nome “Libera la Lazio”, intesa come liberala dal gestore Lotito, partita che vide uno stadio tornato per una sera pieno tifare per 90 minuti contro il Presidente, in segno di disprezzo.
Alcuni tifosi, o presunti tali non so, da quella sera non sono più andati allo stadio.
Pallotta si è salvato perchè qualche soldo negli anni lo ha speso pur senza vincere nulla, ma se non si fosse fatto da parte anche lui avrebbe vissuto la stessa fine: “Libera la Roma”, fuori gli yankees dall’Olimpico (tutto questo senza pensare che i tifosi romanisti rischiavano di cadere nella mani del falso sceicco di Perugia, ma questa è un’altra storia).
Sono passati 8 anni da allora, la Roma non ha vinto niente e Lotito in qualche modo se l’è sempre cavata, e peraltro negli anni ha vinto anche qualcosa, ma i tempi ora stanno virando verso nuove contestazioni.
La Roma dell’invasato per contratto Mourinho forse mette paura, o magari mette paura il fatto che Lotito non investa un euro mentre intorno a lui ormai tutte le squadre importanti sono in mano a Fondi internazionali o a magnati mentre Lotito, al massimo, può ambire a fare il magnaccia. E così domenica la curva laziale ha organizzato un’altra protesta clamorosa, la Nord fuori dallo stadio contro il caro prezzi della Nord a 40 euro, tenendo anche conto che con 14 euro vai a vedere Roma-Leicester semifinale di Conference League.
Le due tifoserie sono legate indissolubilmente l’una all’altra, pur essendo ontologicamente del tutto diverse: da poche battute puoi capire subito se uno è tifoso della Roma o della Lazio, e non è se dice Lazzie o Riommico, è proprio una diversa filosofia di vita, che però converge in questo: Libera la Lazio o Libera la Roma, basta che si vinca qualcosa.
E che si possa sfottere l’altro, fino all’umiliazione, ben vengano quei giocatori o quegli allenatori che siano molesti per la squadra avversaria, che si chiamino Totti, Di Canio, Mourinho o Chinaglia. Diceva Zeman, che ha allenato entrambe le squadre, che Roma è un paese, cogliendo in due parole l’essenza di questa città sì eterna, ma composta al momento di due camere e cucina, un occhio al Colosseo e uno al Corriere dello Sport.
Una città dove dopo le partite della Roma esce un giornale che si chiama il Romanista, che ha un buco passato di centinaia di migliaia di euro, preda di barbari e visigoti venuti d’oltralpe a banchettare, ma basta una parola del vate Mourinho contro gli arbitri per dimenticare tutto, domani è un altro giorno, l’importante è avere un nemico, l’importante è puntare a uno scalpo.
La Lazio, più umilmente, il suo nemico ce l’ha in casa per l’appunto, il sor Lotito, una vita per l’impiccio ed attento agli spicci, ma lui non vende a nessuno, ha già annunciato che lascerà la Lazio a suo figlio, una famiglia avvinta come l’edera all’aquila Olympia in una stretta decisamente mortale per una delle due parti. Finchè morte non li separi.
Probabilmente se come per magia il generale Vaccaro avesse dato il benestare alla fusione totale nel 1927 e le due squadre ora fossero una sola tutto questo non sarebbe mai accaduto, Lotito sarebbe a fare la pulizie ai Mercati Generali (ma proprio lui lui), il Principe Giannini avrebbe avuto il suo meritato addio e probabilmente Roma, intesa come città, avrebbe avuto nella sua storia qualche scudetto in più, disperso fra le polemiche cittadine da basso impero.
Ma come fai a togliere a milioni di tifosi, alcuni dei quali si alzano la mattina solo con quella idea in testa (e al massimo un’altra, che non si può qui riferire), la possibilità dello sfottò, di dire Lanzie o peperonici? E allora ben venga la contestazione ai Lotito e ai Peppe Giannini di turno, a chi tocca non si ingrugna.
Almeno fino al prossimo trofeo dei cugini.
A chi lo scudetto? A noi!

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