di Alessandro Tozzi
Una domenica 6 marzo qualunque, in uno stato di emergenza di guerra e di pandemia, se ne è andato Giuseppe Wilson, detto Pino.
Capitano della Lazio dello scudetto del ’74.
O più semplicemente Capitano.
Inutile star qui a ricordare le sue scivolate, il suo giocare a testa alta, le sue 392 presenze nella Lazio, il suo andare a parlare con gli arbitri petto in fuori e mani dietro la schiena (rimane famosa la conversazione con l’arbitro Panzino in un Lazio Juve del ’74 che sapeva di scudetto, con Panzino che assegna il secondo rigore farlocco alla Juve in 5 minuti e lui che gli dice “arbitro, ci sono 80.000 persone oggi allo stadio, se lei fa così io non rispondo di quel che potrebbe accadere, se entrano io non li fermo”), persino le oscure vicende del calcioscommesse che lo videro coinvolto per un Milan-Lazio 2/1 e, per sua volontà, lo fecero uscire dal mondo del calcio nel quale aveva già un futuro da dirigente, mondo nel quale non volle rientrare nemmeno quando sbarcò in Italia l’amico inseparabile Chinaglia alla presidenza nel 1983.
Oggi il tifoso laziale dalle 9 di questa mattina chiama le radio e inevitabilmente piange, anche se non l’ha mai visto giocare.
Piange per lui, per suo padre, per suo nonno, per la maglia, per la Lazio e anche per Pino Wilson.
Diceva Sacchi che il calcio è la più importante delle cose meno importanti.
Ci sono giorni, anche in guerra e in pandemia, dove il calcio è la cosa più importante e basta, perchè semplicemente contiene dentro tutto il resto.
Ciao Capitano.
Ti sia lieve la terra.
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