di Alessandro Tozzi
l campionato ricomincia e si porta via Carlo Mazzone, che a 86 anni chiamavamo ancora tutti Carletto. Con 797 presenze sulle panchine di serie A detiene il record del nostro campionato, allenando dal 1974 fino al 2006 in giro per l’Italia.
Ascoli, Fiorentina, Catanzaro, poi molto Ascoli in serie A in coppia col vulcanico Rozzi, Bologna, Lecce, Pescara, Cagliari, 3 anni alla Roma, Cagliari, Napoli, Bologna, Perugia, Brescia, ancora Bologna e infine Livorno.
Nonostante la sua fama trentennale di catenacciaro era avanti coi tempi, tanto che il mitico Bernardini a Coverciano a metà degli anni ’70 ironizzando con gli allievi disse loro che non c’era bisogno di andare a vedere l’Ajax in Olanda, bastava andare ad Ascoli a vedere il lavoro di Mazzone.
In 30 anni di panchina, oltre ad una Coppa di Lega italo inglese con la Fiorentina, l’unico suo titolo è una (misera) Coppa Intertoto col Bologna di Andersson e Signori, che portò alle semifinali di Coppa Uefa nel 98/99. Per il resto tanti piazzamenti in piazze di secondo piano, tre anni in linea con le normali aspettative alla Roma (con un famoso derby vinto 3/0 contro la Lazio di Zeman e festeggiato sotto la Sud), un paio di promozioni a Lecce e Ascoli, un paio di retrocessioni a Cagliari e Bologna.
A Roma se lo ricordano come il primo padre putativo di Francesco Totti, a Brescia per il suo rapporto con Roberto Baggio e quella famosa corsa da invasato sotto la Curva dell’Atalanta dopo un 3/3 alla fine della quale disse all’arbitro Collina “ora buttame fori, anzi ce vado da solo”. Al ritorno, conscio dell’accoglienza che avrebbe avuto, prende uno per uno i suoi giocatori e gli chiede se se la sente, ribadendo che “Mazzone se la sente”, perchè ormai parlava di sè in terza persona.
Diverse le sue frasi famose.
“Ci voleva un romanista per far vincere lo scudetto alla Lazio (dopo Perugia-Juventus 1/0 e scudetto ai biancocelesti)”.
“Dicono che col tempo i torti arbitrali si pareggiano, e allora dico agli arbitri sbrigateve a mettervi in pari che sto andando in pensione”.
“Uno che è stato in panchina durante Ascoli-Sambenedettese come tensione nella vita ha provato tutto”.
“Difensore scivoloso, difensore pericoloso”.
“A chi dice che Mazzone è il Trapattoni dei poveri, dico che è Trapattoni ad essere il Mazzone dei ricchi”.
Infinite le sue battute in campo e fuori, anche se il sor Carletto diventa divertente macchietta (e non solo, essendo persona non solo spiritosa ma anche intelligente) solo dopo i 3 anni alle prese con i cronisti della Roma, prima era assai impacciato davanti al microfono, l’ultimo decennio della sua carriera, dopo tale imprinting, fu spettacolare.
A Cappioli dopo una palla persa urla “la sera devi annà a letto presto….da solo!”
A Balbo che si scambia abbracci con un avversario grida “vabbè, ora baciateve”.
A Carboni che si spinge in attacco, ricorda che non segna mai e quindi “Amedè, lassa perde, ndo cazzo vai”.
A Manzini, accompagnatore laziale, che dopo un gol di Signori si ritrova vicino alla panchina della Roma riserva un “Manzì, che cazzo ce fai qui?”
Pep Guardiola, con lui a Brescia, quando viene a giocare la finale di Champions a Roma lo chiama a casa per invitarlo allo stadio, lui gli attacca il telefono in faccia dicendogli “a chi voi pijà per culo…” (poi andrà davvero a vedere la vittoria del suo allievo).
Nel film Come un padre, da poco andato in televisione, c’è l’aneddoto che forse più lo connota.
E’ il 1996 e, dopo tre stagioni, sta dando l’addio alla Roma, la squadra della città in cui è nato e per cui ha sempre tifato, e la società ha organizzato una festa per salutarlo. A un certo punto si avvicina a Gigi Di Biagio, centrocampista, e ridendo gli dice: “Ahó, nun ‘amo vinto gnente, però ammazza le risate che se semo fatti”.
Ciao Carletto, ti sia lieve la terra.
E grazie per le risate che se semo fatti.

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