di Alessandro Tozzi
Abbiamo seguito Festival anche peggiori negli anni, abbiamo seguito Festival dove si sapeva il vincitore ancor prima di cominciare, abbiamo seguito anche ad un certo punto la malsana onda lunga dei reality musicali con la vittoria di Marco Carta e Valerio Scanu (che a dicembre ha presentato il Festival canoro degli avvocati romani, per far capire il livello), insomma quale pubblico da casa ne abbiamo viste di tutti i colori, in costante balia dell’organizzatore di turno, e dei suoi accordi con le case discografiche, ma forse quello che sta accadendo a questo Festival, forse non l’avevamo mai visto.
Stasera si sta avviando a vincere tale Geolier, un rapper napoletano ragazzino, che dopo essersi affermato nella serata normale, ieri ha anche vinto quella delle cover, nonostante portasse una canzone a me sconosciuta, e fosse circondato da non meglio identificati figuri, con l’apparizione finale di Gigi D’Alessio quale icona nel mondo della napoletanità.
Non che il secondo posto di Angelina Mango, figlia di Pino, e anche lei spinta dai social in maniera abbastanza assurda considerando la giovane età e il suo curriculum non certo di primo livello, mi faccia stare tranquillo, ma l’operazione fate vincere la figlia di Mango comunque rimane/sarebbe rimasta comunque nel solco di una tradizione sanremese legata a Rai 1 e alle famiglie, o almeno a quel che ne rimane.
Che vinca Geolier col televoto dei suoi compaesani nel mondo, e di un manipolo di ragazzini in età da prima canna, è un qualcosa che andrebbe studiato come fenomeno di marketing, anche per impedirne la riproposizione negli anni a venire: se la democrazia fallisce, e questo mi pare un caso evidente, si apportano dei correttivi, Geolier nella prima serata non era nemmeno nei primi 5, dove non merita di stare anche in un Festival francamente deludente per la qualità delle canzoni.
Per il resto poco importa che vinca il tormentone di Annalisa in reggicalze anche alla Caritas, il capello blu della Bertè che urla di essere pazza o quello da matto di Diodato o che vincano altri, se la loro canzone riscuote il gradimento di un pubblico mediamente educato alla musica, seppur nella opinabilità del gradimento stesso.
Che vinca un rapper napoletano con un canzone in dialetto stretto quasi incomprensibile al resto d’Italia perchè si è deciso così stride francamente con la storia di un Festival che negli anni ha visto vincere gli Avion Travel, Simone Cristicchi, Francesco Gabbani ed altri (financo Mino Vergnaghi fra gli altri) che alla vigilia partivano sfavoriti, ma con canzoni che a distanza di anni tengono ancora botta.
“I pe me tu pe te”, da leggersi tutto attaccato come fosse un’unica parola tipo Magicabula, non passa certo alla storia, se non a quella dei fischi (e forse anche dei fiaschi) di Sanremo.
Non ho nulla contro Geolier, 23enne che ne dimostra più di 40, e che in futuro farà cantare tutta Italia con la rivisitazione dei classici napoletani, ma la democrazia uno se la deve anche poter permettere.
Riprendiamoci Sanremo.
E forse anche l’Italia.

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