di Alessandro Tozzi
Inghilterra-Italia è la madre di tutte le partite, e giocarla l’11 Luglio (data della finale di Madrid 1982, per quei 3 che non se lo ricordino) aggiunge un sapore ancora più gustoso al piatto che si prepara per domenica.
Piatto da dentro o fuori, buio e controbuio: qui si fa la storia o si torna nell’anonimato per entrambe, con una pacca sulla spalla che sa di delusione, perchè le due squadre sanno che è una grande occasione che non sanno se e quando ricapiterà.
L’Inghilterra perchè rigioca in casa una finale dopo 55 anni, l’Italia perchè non pensava di essere così avanti, e perchè l’Inghilterra non sembrava la più forte del mazzo.
Si va con la mente al passato, al ricordo di altre partite storiche fra le due formazioni.
Gli azzurri “leoni di Higbury”, da poco campioni del mondo del 1934, perdono si dagli inglesi per 3/2, ma ridotti in 10 rimontano due gol col grande Meazza e a momenti pareggiano, entrando per sempre nella leggenda, tanto più di quegli anni dove l’orgoglio italico è parte di un tutto assai più ampio.
Con un salto addirittura di 40 anni arriviamo al 1973, prima vittoria italiana in terra inglese, con gol di Capello su cross di Chinaglia e Zoff che svolazza fra i pali come un ragazzino (in fondo ha solo 31 anni, e giocherà per altri 10). Quel giorno i tabloid inglesi annunciano ironicamente la calata allo stadio di 20.000 camerieri italiani, che hanno passato senza dubbio una delle notti più belle della propria vita (stile Nino Manfredi in Pane e Cioccolata), a dimostrazione che il razzismo c’è in ogni latitudine; auspice della vittoria un grande Giorgio Chinaglia, eletto da Gianni Brera man of the match, uno che il cameriere in Inghilterra l’aveva fatto davvero da giovane al seguito della famiglia emigrata in terra gallese.
Arriviamo poi a uno straordinario gol di Bettega in tuffo per una qualificazione ai Mondiali argentini del 1978 dove saremo protagonisti, e un gol di Tardelli a pochi minuti dalla fine negli Europei in casa del 1980, dopo una marcatura ferrea sul grande Keegan: Schizzo, che 2 anni dopo ci regalerà l’urlo mondiale, faceva già le prove del Bernabeu.
Siamo poi già al 1997, una rete dell’emigrante di lusso Zola, già al Chelsea, ci porta verso i Mondiali del 1998, con Maldini in panchina: si fermano qui le nostre vittorie a Wembley, e pensate che siamo fra i pochissimi, tedeschi a parte, ad averci vinto due volte.
La sfida successiva è agli Europei del 2012, vinta ai rigori, col cucchiaio di Pirlo a suggellare un’Italia che vola in semifinale, mentre nel 2014 vinciamo si ai Mondiali il match d’esordio, con Marchisio e Balotelli, ma nessuna delle due si qualifica al turno successivo.
A ben vedere sono tutte vittorie, o quasi, ma ci può essere sempre una prima volta per gli inglesi, che da 55 anni aspettano una finale, nonostante in questi anni i loro club abbiano vinto in lungo e in largo.
C’è poi un’altra storia nella storia più grande di questa sfida, quella di Vialli e Mancini che a Wembley, nel 1992, perdono col Barcellona la finale di Coppa Campioni, ponendo di fatto fine al giocattolo Sampdoria, che da lì non vincerà più niente. Gianluca Vialli entrando domenica nello stadio non potrà non avere un brivido, l’ennesimo nella sua vita, ricordando un paio di assist del Mancio sprecati solo davanti a Zubizarreta.
Domenica si può chiudere anche questo conto, per tutti e due, insieme appassionatamente sulla panchina italiana, gemelli diversi di un Paese che sogna una vittoria anche per dimenticare, proprio come l’Inghilterra, 18 mesi di sofferenza: è anche una sfida fra due dei Paesi europei più colpiti dalla pandemia, forse è un caso, o forse no.
Ci aspettiamo un’Italia gagliarda e tosta, che scavi fossati in difesa per proteggersi dall’arrembaggio albionico, che a un certo punto arriverà, anche se ormai giocano poco all’inglese, sono diventati anche loro cittadini del mondo, Brexit docet.
Bello poi che la madre di tutte le partite sia in contemporanea con la nonna di tutte le partite, visto che al Maracanà si gioca Brasile-Argentina finale di Coppa America: è una domenica per tifosi, ma anche per sani appassionati del gioco, come ci ha spiegato Luis Enrique martedi.
In questo caleidoscopio, non possiamo dimenticare due sfide Italia-Inghilterra cinematografiche, entrambe mai giocate ma fra le più notevoli di sempre.
La prima è quella del finale del film In nome del popolo italiano, con il severo magistrato Tognazzi che si trova coinvolto nei festeggiamenti per una vittoria italiana contro gli inglesi, ed a causa dell’abbrutimento della società che gli gira attorno (correva l’anno 1971, ed eravamo già brutti, appena usciti dal boom), decide di farla pagare all’imprenditore Gassman, che pure sa innocente, perchè comunque è colpevole di quell’abbrutimento: un film che compie 50 anni giusto quest’anno, e che andrebbe proiettato nelle scuole quando si parla di Giustizia, quella con la G maiuscola.
C’è poi l’Italia Inghilterra del secondo tragico Fantozzi, col ragioniere obbligato ad andare a vedere per la trentesima volta la Corazzata Potemkin, mentre tutta Italia è intenta a guardare alla tv la più bella partita di tutti i tempi, con una commovente telecronaca di Nando Martellini che per una volta, finalmente, azzecca tutti i nomi dei giocatori.
E’ lì che il ragionier Ugo Fantozzi, il più grande perdente della storia italica, trova il coraggio per pronunciare la sua più grande battuta in rottura di tutti i tempi, tanto più se detta da una merdaccia doc come lui: “Per me, la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”.
Seguono 92 minuti di applausi dei colleghi di lavoro, increduli.
Gli stessi che speriamo di fare ed ascoltare domenica per festeggiare l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, l’Italia che non ha paura.
Per vincerla tutti insieme per una sera: Meazza, Capello, Chinaglia, Zoff, Bettega, Tardelli, Zola, Vialli, Mancini e Balotelli.
L’undicesimo della lista è quello che farà il gol decisivo: serve solo il coraggio di Ugo Fantozzi per trasformarsi da perdenti in vincitori.
E non essere davvero mai più camerieri.

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