Mi chiamo Fido e ho quattro anni. Ho caldo, e pure tanta sete, e ho paura, tanta. Ho fatto la pipì tante volte, non so contare, ma l’ho fatta tante e tante volte, pure la sete aumenta e non bevo, neanche c’è una pozzanghera e non piove, e fa caldo, tanto caldo. Il mio padrone mi ha legato a questo paletto, e la corda tira e stringe il collo mentre le automobili corrono, e corrono, e corrono. Mi verrà a riprendere, lo so, io gli voglio bene, lui pure me ne voleva, non può aver cancellato tutte quelle volte che gli ho scodinzolato quando tornava a casa stanco, la sera, e capivo che era più importante per lui sdraiarsi sul divano che portarmi a passeggio. Non può aver dimenticato le volte che gli ho riportato indietro la palla, lui era contento, si sentiva importante come quando mi chiedeva la zampa e io gliela alzavo, poggiandola sulla sua mano. No, non può aver dimenticato, e forse mi ha pure perdonato quei graffi sulla tenda, che non sono stato io, ma il gatto era già scappato e lui s’è arrabbiato con me. Sono certo che mi verrà a riprendere, la strada è questa, e quando lo vedrò passare di nuovo gli farò capire che sono il suo amico fedele. Non può dimenticarsi di me.