di Alessandro Tozzi
Non sono mai stato uno zerofolle, o forse si, visto che ricordo nitidamente quando in prima media trascinai i miei genitori ad andare a vedere Ciao Nì al Cinema Cassio, che alla fine degli anni ’70 Renato Zero, quello che si vestiva come Elton John, andava fortissimo anche a scuola fra noi, e in una settimana bianca ci eravamo imparati a memoria anche le sue prime canzoni, come Sergente No e paleobarattolo, archeologia musicale dimenticata nei suoi concerti (e Luca Spoletini dove è adesso sa di avere in buona parte questa colpa o questo merito).
Qualche settimana fa Renatone ha fatto sei serate al Circo Massimo, tutte fully booked, alla faccia dei Rolling Stones e del Boss, che non so se riuscirebbero a riempire sei serate in uno spazio così ampio, visto il prezzo dei biglietti.
Dopo quell’innamoramento coattivo giovanile Renato l’ho perso di vista, per poi ritrovarlo negli anni con le sue varie vite artistiche, da Spalle al Muro in un Sanremo di 30 anni fa (aveva 40 anni e cantava “vecchio, diranno che sei vecchio”, solo per questo dovrebbe starmi simpatico) a Cercami, vite del tutto diverse da quella provocatoria che avevo conosciuto io alla fine degli anni ’70, ma musicalmente certo più mature, più rotonde, musica che rimane nelle orecchie.
Senza però mai innamorarmene del tutto, tanto che fra i tanti cantanti che ho visto dal vivo nella mia vita lui mi manca, forse perchè non mi sento zerofolle come la maggior parte dei fans dei suoi concerti, che per anni sono stati davvero una setta e forse lo sono ancora.
Però come partono Il carrozzone e I migliori anni della nostra vita un fremito mi coglie, sono un pezzo di storia e di vita, la colonna sonora della nostra esistenza che scorre in sottofondo, “bella la vita che se ne va”, con annessa lacrimuccia.
Mentre mi chiedo perchè non sia stato mai zerofolle come loro, scorrono più o meno in sequenza le sue canzoni migliori: Amico, il cielo, Cercami, Spalle al muro, La favola mia, Morire qui, Sogni di latta, Mi vendo.
Il concerto finisce, non prima di un omaggio all’amica Mia Martini, Renato piange col suo tono da santone de noantri (ecco quello che non mi è mai piaciuto, ora me lo ricordo, mi spiace per gli zerofolli) e saluta la sua città, la città di Venditti, De Gregori ed altri, che Zero ha fatto sua anche senza cantare gli inni della Roma col bandierone.
“E il carrozzone riprende la via, Facce truccate di malinconia, Tempo per piangere, no, non ce n’è, Tutto continua anche senza di te”: quando andrò via da questo mondo, mi piacerebbe che suonassero questa canzone.
Forse allora, e solo allora, sarò finalmente zerofolle.

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