di Alessandro Tozzi
L’ultima immagine che abbiamo di Sinisa Mihajlovic è di appena 15 giorni fa, durante una presentazione del libro di Zeman: Sinisa si avvicina da dietro, fra gli applausi degli spettatori, in un cappotto verde due taglie più grande, i due – che pure non hanno mai militato nella stessa squadra- si abbracciano sorridendo.
Sembra un giorno come un altro. Lo è. A distanza di pochi giorni Sinisa se ne è andato, a soli 53 anni, e oggi tutto il mondo del calcio lo piange.

La notizia qualcuno l’aveva data addirittura 3 giorni fa, e tutti avevamo capito che le cose non andavano per niente bene, dopo la ricaduta del suo male, annunciata a marzo. Aveva iniziato anche questa stagione il serbo, ma dopo qualche giornata il Bologna lo aveva licenziato, inutile chiedersi oggi il perchè di quell’allontanamento, poco ci importa.
Se il sinistro di Maradona era classe pura, quello di Mihajlovic era potenza, avevano calcolato che le sue punizioni viaggiassero a 160 km/h; lui racconta che in Jugoslavia la gente esultasse prima che lui andasse a tirarle: sicuramente esagerava, ma in un anno in Coppa dei Campioni con la Stella Rossa ne segnò 5. Delle punizioni era, ed è, il recordman di quelle segnate in serie A, ben 28, come Pirlo che ha giocato 200 partite in più. Tutti gli altri, Del Piero, Baggio, Totti, Maradona, Zola, tutti alle sue spalle. Suo anche il record delle punizioni segnate in una sola partita, ben 3 (stavolta in comproprietà con Signori), in una partita giocata all’Olimpico contro la Sampdoria, in porta per loro c’era Ferron, un buon portiere, che nulla potè contro questi tre missili teleguidati del serbo, il quale prima della partita gli promise che gli avrebbe fatto gol, dicendogli di non muoversi prima perchè lui mentre tirava lo avrebbe guardato.

Quasi 100 i gol di una bella carriera, iniziata come centrocampista di una splendida Stella Rossa di Belgrado, che nel 1991 vince la Coppa dei Campioni schierando a centrocampo: Prosinecki, Jugovic, Mihajlovic e Savicevic (ed era appena andato via Stojkovic). Un lusso da imperatori.
Lo compra a 22 anni la Roma del maestro Boskov, che però commette l’errore di schierarlo a sinistra sulla fascia, dove lui non si trova. Saranno due anni di passione, nei quali il serbo segna solo un gol su punizione, e un fantastico gol di destro al Borussia, perla più unica che rara nella sua carriera, tutta contrassegnata da gol su palle inattive, che con lui diventavano ipercinetiche; era l’unico mai conosciuto che sulle punizioni invece di spostare la palla in avanti la spostava indietro, perchè era convinto che il suo tiro partendo da più lontano fosse ancora più pericoloso (narra la leggenda che in Jugoslavia abbia fatto gol da 65 metri)
Poi quattro anni di Samp con Eriksson, che lo lancia difensore centrale, un Di Bartolomei al comando della difesa 15 anni dopo.
Nel 1998 sbarca alla Lazio, su esplicita richiesta di Mancini ed Erikson, approdati l’anno prima: Sinisa si afferma al fianco di Nesta come coppia perfetta, un grande difensore a chiudere tutti gli spazi, l’altro grande difensore a far ripartire la squadra coi suoi lanci, e utilissimo su tutti i calci piazzati a favore.
Rimane a Roma per 6 stagioni, segnando 33 gol, poi a fine carriera va all’Inter con Roberto Mancini allenatore, che poi lo farà diventare suo secondo una volta finita nel 2006 la sua brillante carriera.
In panchina approda in A nel 2008, ma non saranno rose e fiori. In 14 stagioni in serie A in giro per la penisola (Bologna Sampdoria, Catania, Fiorentina, Milan, Torino), non tutte dall’inizio alla fine, il suo risultato migliore è un settimo posto con la Sampdoria, anche se la sua stagione migliore è quella da subentrato al Catania, dove su 23 partite ne perde solo 5 lanciando il tridente Mascara-Martinez-Maxi Lopez (prima riserva è il giapponese Morimoto, voglio sentirvi piangere quando leggerete questo nome). Nel luglio 2019, come uno sparo nel buio, la notizia della malattia, ma rimane ad allenare il Bologna, e solo 44 giorni dopo sarà in panchina, come da allora è accaduto fino al 6 settembre scorso.
In mezzo, allena per 18 mesi la nazionale serba, senza grandi risultati, escludendo Ljaijc perchè non canta l’inno come gli altri; e per 9 giorni lo Sporting Lisbona, subito esonerato, si vede che non gli piaceva il baccalà.
Si era parlato più volte di un suo approdo alla Lazio come allenatore per il suo rapporto molto forte con i tifosi biancocelesti, ma poi non se n’era fatto mai nulla; oggi la gente chiamava le radio singhiozzando, per un giocatore che aveva smesso di giocare nel 2002: anche questo è il calcio.
Non aveva un bel carattere Sinisa, il serbo nato in Croazia, schiena diritta e serbo fin dentro al midollo, spesso incazzato, anche un po’ burbero per scelta in verità; uno che dice “i giocatori sono liberi di fare ciò che voglio io” rende bene l’idea di come concepisse lo spogliatoio di calcio, ma più ancora la vita stessa. Famose alcune sue frasi, e alcune sfuriate contro i giocatori, negli anni di panchina: “se uno non è motivato per giocare un derby, meglio faccia il ragioniere”, “è facile indossare la fascia di capitano a 22 anni, difficile è svegliarsi per andare a lavorare alle 4.30 di mattina e non arrivare a fine mese”, “Chi mi ha chiamato zingaro lo aspetto, sanno dove abito, vediamo se hanno le palle”, “Con Mourinho non posso parlare di calcio perchè non ha mai giocato e non può capire”, “Le palle uno le ha o non le ha. Però l’allenatore deve farsi seguire. Io sono sicuro che se dico ai miei di buttarsi dal tetto loro prima lo fanno e poi mi chiedono perché””, “Mia moglie ha più palle di me, e non è facile”.
Sarà difficile fare a meno di lui, che da 30 anni era una presenza costante del calcio italiano; ci mancherà quella sua strana ironia da duro che non terminava quasi mai con una risata, anche se faceva una battuta fulminante.
Ci mancherà l’uomo, che solo pochi mesi fa disse “ho scoperto una parte di me che non conoscevo: vivo tutto più intensamente, mi godo ogni istante e ho imparato a contare fino a 6/7, prima di arrabbiarmi, so che posso arrivare fino a 8. A 10 non chiedetemelo, non è roba per un uomo come me….Quando si parla di sogni non penso ad alzare una Champions League o uno scudetto. Il mio è poter riabbracciare mio padre”.
Ora finalmente sei con lui. Ti sia lieve la terra, Sinisa.

Articolo precedenteDieci anni di presidenza Betturri, la serata-evento al Trastevere Stadium
Prossimo articoloVolley, Smi Roma, ad Aversa ultima chiamata d’andata