Sei nazioni con retrocessioni
Sei nazioni con retrocessioni

di Alessandro Tozzi
Con quel palo su punizione di Garbisi a tempo scaduto che ci avrebbe consegnato la prima vittoria della storia in terra francese, l’Italia si presenta alla partita con la Scozia, ultima in casa di questa stagione.
Le condizioni metereologiche sono tipicamente anglosassoni, forse per accogliere i 10mila scozzesi in kilt che sciamano in mezzo ai tifosi italiani verso lo stadio, alcuni con delle birre Moretti in mano vera metafora della globalizzazione mondiale.
In 23 edizioni di Sei Nazioni è la prima volta che vengo allo stadio, degli amici dopo una discussione di rugby mi hanno regalato un biglietto.
Le statistiche negative sono impressionanti: l’Italia in 23 edizioni ha vinto 13 partite, una delle ultime 40 circa, e non vince in casa dal 2013.
Comunque vada, insomma, sarà un successo. Anche perchè, contrariamente a quando vengo allo stadio, non ho alcuna tensione, è come se fosse una bella scampagnata per godersi uno spettacolo.
L’Olimpico è gremito, gli scozzesi sono dappertutto, e questa è una delle meraviglie del rugby, considerando che ormai nel calcio anche nelle partite fra pulcini i genitori sono su tribune opposte.
A menare le danze ci sono due deejay, che per tutta la partita (e anche dopo) romperanno i coglioni dicendo alla gente cosa deve fare, minuto per minuto: ora un coro, ora la ola, ora le mani in alto, nemmeno allo stadio si può avere una propria opinione divergente nel 2024.
Prima della partita viene anche mandata a tutto volume l’Italiano di Toto Cutugno, e subito dopo anche Sarà perchè ti amo: manca solo Alan Sorrenti e siamo in pieno revival anni ’80.
Entrano le squadre, metà della nazionale italiana è composta da oriundi, e l’allenatore è argentino, ma si canta l’inno con la mano sul cuore, forse pensando a Toto Cutugno.
Pronti via, dopo 30 secondi guadagniamo una punizione senza che nessuno abbia capito il perchè: andiamo 3/0, ma sarà l’inizio di un pomeriggio nel quale dagli spalti l’unica cosa che puoi fare è tifare, capire cosa sia accaduto non fa per me e per il 97% di quelli che sono seduti attorno a me, senza l’aiuto degli schermi che segnala che fallo ci sia stato sarebbe buio pesto (peraltro anche il tipo di falli che vengono indicati spesso fa sorridere, dopo averli visti malmenarsi).
In breve la Scozia, favoritissima, ci piazza due mete e la partita sembra già finita, ma per fortuna con un lancetto a scavalcare la difesa troviamo una bella meta che ci riporta a galla. Ancora una meta scozzese, e poi una lunga serie di punizioni vincenti di Garbisi ci portano all’intervallo sotto 16/22, c’è partita.
Riparte l’Italiano, parte il secondo tempo con l’annullamento di una meta agli scozzesi per qualche fallo misterioso, ed è subito meta azzurra dall’altra parte, sempre con lo stesso schema, calcetto stavolta laterale e uomo che va a trasformare.
Punizione facilissima per Garbisi, che fin qui ha messo dentro qualsiasi cosa, nemmeno il tempo che io dica “rischiamo di passare in vantaggio” che il nostro prende il palo pieno, deve essere una maledizione.
Qualche minuto dopo altra meta, stavolta dopo una azione insistita, e stavolta Garbisi trasforma per il 31/22.
Mancano 20 minuti, un’eternità, con la Scozia che macina rugby senza essere incisiva. La svolta sembra arrivare al minuto 75, gli scozzesi perdono una banale palla al limite della nostra area, un italiano la intercetta e si invola, sarebbe una meta straordinaria dopo 80 metri di corsa, ma dopo 8 capiamo che non ce la farà mai, e lo capisce anche lui, perchè vistosi ripreso la passa a uno dei nostri che calcia, ma la palla incredibilmente prende in pieno uno scozzese e torna indietro verso la nostra area, una di quelle sliding doors che determinano il risultato. E infatti 2 minuti dopo la Scozia fa meta, una di quelle che ti puoi difendere come ti pare, ma ti salgono sopra quattro scaldabagni e arrivano lo stesso dove devono arrivare.
Segue la trasformazione per il 31/29.
Ora mancano due minuti e mezzo, l’Italia palla in mano la gioca lontano e va ad aggredirli. Il tempo scade, gli scozzesi guadagnano metri, nel rugby se la palla non esce il gioco continua, basterebbe un fallo (ovvero una qualsiasi azione che nessuno di noi capirebbe e potrebbe essere un fallo, in quella orgia umana in perenne mutazione che è una mischia fra quegli omoni) ed una punizione trasformata e l’apoteosi si trasformerebbe in disastro.
Tutto il pubblico, me compreso che ero entrato per vedere la partita con grande nonchalance, è avvinghiato alla partita e ad ogni mischia è anche lui a menare fendenti come se fosse la propria riunione di condominio, dove può finalmente azzannare alla gola quel coglione del terzo piano che ti chiama se alle 23 sente la radio alta a casa tua.
Finalmente, al minuto 83, dopo 5 lunghissimi minuti, un avanti della Scozia viene sanzionato, e la partita finisce: gioco, partita, incontro.
I nostri si sdraiano sul campo, si abbracciano, piangono, sono i primi ad esultare per questa vittoria, che allontana l’ennesimo cucchiaio di legno; la gente sugli spalti esulta, ma in maniera misurata, ha dato tutto durante la partita, e forse teme che parta davvero un pezzo di Alan Sorrenti a fine partita.
Poi giro di campo, la premier Meloni che non perde l’occasione di fare passerella istituzionale andando a festeggiare con loro negli spogliatoi, e infine terzo tempo per un bagno di folla fra le decine di migliaia di tifosi rimasti lì a bere e festeggiare fino a tardi, a prescindere dal risultato.
Verso le 8 entro in un bar insieme ad uno scozzese, che visibilmente ubriaco rischia di morire per salire uno scalino, poi si alza e mi da il pugno: great match, bofonchia, poi vola in bagno forse a vomitare.
Lontane si sentono le cornamuse scozzesi, ebbre di birra Peroni.
Edimburgo non è mai stata così vicina.

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