Se il gioco dell’integrazione passa anche dallo sport, il cricket rappresenta uno dei suoi veicoli principali. Per chi vive nella Capitale, una delle città italiane che per prima ha sviluppato e introiettato le molteplici connessioni legate ai processi culturali dell’immigrazione, ormai è consuetudine assistere, nei giorni festivi e con l’inizio della bella stagione, a veri e propri tornei di cricket, disputati nelle aree verdi come villa Pamphili, dove si riunisce la comunità indiana del Kerala. Tra runner che macinano chilometri e bambini che giocano a pallone, si alzano grida e incitamenti in malayalam (la lingua dello stato dell’India meridionale) e in inglese, per uno sport che si stima oggi in Italia sia praticato da 50mila persone, mentre i tesserati della federazione sono circa 9000. Di questi 3000 militano in un campionato agonistico, mentre i rimanenti due terzi sono studenti. Loro rappresentano il futuro anche di una Nazionale quinta in Europa, che per il 40% è composta proprio da immigrati (mentre il 60% risultano aire – anagrafe italiani residenti all’estero); motivo per il quale il cricket è stato il primo sport a introdurre lo ius soli (diritto di cittadinanza per chi è nato in Italia) nel suo ordinamento.
Dal momento che molte richieste di organizzare partite e tornei arrivano proprio dai centri di accoglienza per migranti, la federazione ha lanciato la prima giornata nazionale del cricket per i profughi e i rifugiati per i giorni per il primo week end di aprile. Sabato 2 e domenica 3, insieme alle città diBianco (RC);Bologna; Napoli; Palermo; San Benedetto del Tronto; Torino; Trento; Venezia, anche Roma scriverà una nuova pagina di integrazione grazie allo sport. (fonte Coni Lazio)