SuperNews ha intervistato Igor Protti, ex attaccante, tra le altre, di Bari, Livorno, Lazio e Napoli. Sei stagioni di Serie A, 144 presenze e 48 gol, insieme a Dario Hubner, è stato capace di vincere la cannonieri in Serie A, B e C1 ed è l’unico giocatore della storia della massima serie ad aver vinto la classifica dei bomber con una squadra poi retrocessa. Insieme a lui, abbiamo ripercorso le tappe più importanti della sua lunga carriera, ricca di aneddoti inediti.
Hai iniziato la carriera nella tua città, a Rimini, in C1. Cosa significa difendere i colori “di casa”?
La prima volta che sono andato allo stadio da bambino, insieme a mio papà, è stato proprio al Romeo Neri di Rimini. È chiaro che aver esordito in quello stesso stadio con la maglia della mia città è stato il coronamento di un sogno. L’esordio è stato molto emozionante anche perché sono entrato in campo al posto di Giordano Cinquetti, un giocatore che ha fatto la storia di quel club.
Due stagioni con gol in doppia cifra al Livorno e alla Virescit ti valgono la chiamata in B del Messina: cosa ti ricordi di quell’esperienza siciliana durata tre stagioni?
A Messina ho vissuto tre anni meravigliosi. Ho ancora un rapporto bellissimo con la città e la tifoseria. Messina è stato un passaggio fondamentale per la mia carriera, perché mi ha permesso di giocare per la prima volta in serie B. A quel tempo, i cadetti avevano una visibilità completamente diversa dalla serie C. C’era “Tutto il calcio minuto per minuto”, che in radio seguiva le partite in diretta, in TV trasmettevano i servizi delle gare, mentre la C aveva un aspetto più locale: questo mi ha permesso di avere una maggiore considerazione a livello nazionale.
Nell’estate del 1992 passi al Bari, società con cui nel 1994 esordisci in serie A contro la Lazio. Che ricordo hai di quella partita al San Nicola?
Ovviamente l’esordio in serie A non si dimentica. È l’obiettivo che ogni ragazzo si pone quando intraprende il percorso di calciatore. Io ci sono riuscito nel 1994. Il ricordo più importante di quel giorno è legato a mio papà, grande appassionato di calcio e mio più grande tifoso: l’anno prima del mio esordio era venuto a mancare. A lui andò il mio primo pensiero. Mi sarebbe piaciuto averlo lì quel giorno. Spero che, da qualche parte, mi abbia potuto comunque vedere.
Nella stagione 95-96 diventi capocannoniere con il Bari, che però non riesce a salvarsi. Una grandissima soddisfazione personale unita ad una delusione di squadra. Come hai vissuto quel periodo fatto di emozioni contrastanti? E cosa non ha funzionato in quel Bari retrocesso, nonostante potesse contare sul capocannoniere della Serie A?
La stagione 95-96 è stata molto particolare, per me e anche per il calcio italiano: non era mai accaduto prima e da quel momento non è più successo che un calciatore diventasse capocannoniere in una squadra retrocessa in serie B. Non ho avuto la fortuna di godermi completamente la soddisfazione personale a causa delle sorti della squadra. Nonostante la retrocessione, quel Bari ha sempre lottato e combattuto. Non a caso, siamo rimasti nel cuore della gente. Nell’ultima partita, chiusa 2-2 contro la Juventus, siamo retrocessi, ma tutto il pubblico ci applaudiva. C’è da dire che quei campionati erano completamente diversi rispetto ad oggi: la Serie A era composta da 18 squadre con 4 retrocessioni, mentre oggi ci sono 20 compagini e solo 3 scendono in B. Il livello era decisamente più alto. Senza dimenticare che, in quegli anni, il campionato italiano era il più difficile del mondo: basti pensare che quella stagione la Juventus vinceva la Champions e tutti i più grandi calciatori volevano venire a giocare da noi, in Italia. Sono convinto che oggi, con quel Bari, faremmo un campionato di grandissima tranquillità: era una squadra molto propositiva, con centrocampisti bravi ad appoggiare la fase offensiva. Forse eravamo un po’ meno puntuali nel difendere, e avevamo subito qualche gol di troppo, anche se ne segnavamo tanti. In ogni caso, il livello di quel campionato era stratosferico.
Nell’estate del ’96 passi alla Lazio, anche se prima di firmare con i biancocelesti sei stato vicino anche all’Inter. Come andarono le cose in quella sessione di mercato?
L’anno successivo alla retrocessione con il Bari ci fu il mio passaggio alla Lazio. E’ vero, ero molto vicino all’Inter: avevamo raggiunto un accordo, ma il contratto sarebbe stato depositato solo dopo la cessione di Zamorano, che in quella stagione non aveva fatto benissimo. La sua cessione non avvenne. Zamorano restò all’Inter e io andai alla Lazio.
Zeman e Zoff furono i due allenatori del primo anno di Lazio. Com’è stato il rapporto con loro?
La prima parte di stagione fu con Zeman e la seconda parte dell’anno con Zoff. Per quanto mi riguarda due storie completamente diverse: ho avuto grosse difficoltà con il boemo, sia sul piano tecnico che nel rapporto personale. La seconda parte, con Dino Zoff, invece, è stata straordinaria per me e per la squadra, con una cavalcata che ci ha portato dal quintultimo posto alla quarta posizione. Il mister è un uomo incredibile, poco fumo e tanto arrosto. Con lui ho giocato un girone di ritorno bellissimo, coronato con l’importantissimo gol del pareggio segnato al 92’ nel derby contro la Roma.
Nel 1999 torni a Livorno e scrivi le pagine più belle della storia del club amaranto: promozione in B dopo 31 anni e risalita in A dopo 54. Come ricordi quelle 6 stagioni intense?
Già dal 1988, quando sono andato via da Livorno dove avevo già giocato per tre anni, avevo il desiderio di tornare in amaranto per cercare di aiutare la squadra nella risalita verso palcoscenici importanti. Erano troppi anni che il Livorno non giocava in serie B. Quell’obiettivo l’ho vissuto come una missione: ci siamo riusciti al terzo tentativo, nella stagione 2001-02, dopo aver perso anche una finalissima playoff l’anno precedente. È stato meraviglioso: ho coronato un sogno. Addirittura, due anni dopo abbiamo raggiunto la Serie A, una cosa impensabile fino a qualche tempo prima, frutto del grandissimo lavoro di gruppo. Chiudere la mia carriera in A, con uno splendido ottavo posto, mi ha permesso di smettere di giocare a calcio con una totale serenità.
A Livorno vinci per tre volte (2 consecutive in C e 1 in B) la classifica dei cannonieri, diventando l’unico giocatore, insieme a Dario Hubner, a conquistare questo titolo in A, B e C1. Come descrivi quella soddisfazione?
Aver vinto la classifica dei cannonieri in serie A, in B e due volte in C1 è una soddisfazione enorme, anche considerando che da ragazzino giocavo a centrocampo. Pian piano mi sono spostato più avanti, senza però perdere la mia natura. Per questo, oltre a fare molti gol, ho fatto segnare tanto anche i miei compagni di reparto che spesso, giocando al mio fianco, hanno realizzato i loro record personali di segnature. Riuscivo a mettere insieme quello che si chiede un attaccante, ovvero fare gol, e l’altruismo tipico del centrocampista.
Ne hai segnati tantissimi, ma c’è un gol a cui sei più legato?
Per fortuna ne ho segnati molti. Ce n’è uno a cui tengo particolarmente e si lega al mio grande desiderio di riportare il Livorno in serie B: per questo scelgo il gol segnato a Treviso, alla penultima giornata della stagione 2001-02. Una rete messa a segno a pochi minuti dalla fine che ci ha aperto le porte alla promozione. Ovviamente, ci sono anche altri gol a cui sono affezionato: lo dicevamo prima, quello nel derby di Roma nei minuti conclusivi, la rete segnata in un altro derby, quello siciliano tra Reggina-Messina, in cui abbiamo vinto fuori casa 0-1 o anche il pareggio insaccato a Torino a tempo scaduto in Juventus-Napoli. Non posso dimenticare quelli segnati con la maglia del Bari, a cui tengo molto: su tutti, cito la rete della vittoria con la Cremonese (Bari-Cremonese 2-1, 1996), che mi rappresenta molto per il mio modo di giocare, di vivere il calcio, dando tutto e non mollando mai. E poi i diversi gol in rovesciata segnati durante tutta la mia carriera.
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