Può anche scoppiare la guerra, la Viterbese può perfino vincere la Champions league, può piovere pure oro dal cielo. Ma se questo accadesse il 3 settembre, nessun viterbese degnerebbe attenzione ai tre eventi “boom” appena citati. Perché quel giorno, che ci possano essere il diluvio universale, la neve o il sole che spacchi le pietre, Viterbo si ferma comunque solo per la Macchina di Santa Rosa, quel baldacchino che innalza al di sopra dei tetti della Città dei Papi la statua di Santa Rosa, patrona della città, e che dal 2013 è stata inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell’umanitàdell’Unesco. La città si ferma, come neanche a Natale e Capodanno, perché Santa Rosa è Santa Rosa, punto e basta. Vissuta nel XIII secolo, viene rievocata dai viterbesi attraverso una manifestazione unica al mondo, entusiasmante, quasi inenarrabile per magnificenza, spettacolarità ed emozione. Si tratta di una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, realizzata con una infrastruttura interna in metallo e materiali tipo la vetroresina; è alta circa trenta metri e pesa cinque tonnellate. E la sera del 3 settembre di ogni anno viene sollevata e portata a spalla da un centinaio di “facchini” (dimenticate il termine, per i viterbesi diventare “facchino” è un onore, un’impresa da raccontare un giorno ai nipoti) attraverso un percorso di poco più di un chilometro che si sonda lungo le vie e tra ali di folla in delirio con l’animo sospeso tra emozione e gioia. L’evento è sold out per chi vuole assistere in prima fila, stando comodamente seduto sulle impalcature allestite dalla comunità locale. Ma c’è posto sui balconi delle case, sui tetti, negli angoli più nascosti di Viterbo, e ogni strapuntino è buono per presenziare e poter dire “io c’ero”.

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