I “Leoni dell’Atlante” sono la storia del Marocco. Non solo per la semifinale mondiale conquistata sul campo ma perché rappresentano le mille storie di un popolo, le sue partenze e gli arrivi, le inclusioni ed esclusioni: lo sottolinea Abderrahmane Amajou, attivista sociale e mediatore culturale.
Parole, le sue, affidate a un videomessaggio per l’agenzia Dire alla vigilia della semifinale tra la nazionale rossoverde e la Francia, in programma in Qatar. Il Marocco è divenuta la prima squadra africana e araba ad aver mai raggiunto questa fase del torneo. Nella partita, però, Amajou vede molto di più. “Solitamente non guardo le partite ma i Mondiali di calcio sono una magia” la premessa. “Il calcio sa unire i popoli, i successi sportivi del Marocco sono stati un’occasione di crescita per tutto il continente africano e un orgoglio per tutta l’Africa”.
Pronti allora a tifare per la nazionale rossoverde, guidata del ct Walid Regragui. “La storia dei marocchini all’estero è rispecchiata nei ‘Leoni’ che scendono in campo” spiega Amajou. “Sedici dei giocatori della rosa sono nati fuori dal Marocco, in Canada, Olanda, Belgio, Spagna, Francia e Italia, e sono spesso rimasti marocchini per le leggi ostiche sull’acquisizione della cittadinanza”.
Amajou racconta la loro ma anche la sua storia. Nato in Marocco, a Oued Zem, nel 1986, è arrivato in Italia bambino, per raggiungere con la famiglia il padre che si era trasferito alcuni anni prima in provincia di Cuneo, in Piemonte, per lavorare. L’impegno sociale è maturato anche con una laurea in Studi internazionali e un master in Management of Development presso l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo).
Lo sguardo alla partita, allora, è italiano e aperto al mondo. “In questi giorni i nostri italo-marocchini sentono ancora di piu l’orgoglio di avere una parte della loro identità legata al Marocco e si sentono meno soli e alzano la bandiera rossa con la stella verde per rimarcare la loro doppia identità, per cancellare e riscrivere culturalmente la parola ‘marocchino’, usata spesso in modo dispregiativo per riferirsi a ogni immigrato nordafricano o al venditore ambulante” dice Amajou. Poi c’è la Francia.
“La sfida è storica, il Marocco gioca contro una grande squadra che nello sport ha saputo fare inclusione e dato spazio alle capacità e competenze” sottolinea l’attivista. “Molti scherzosamente dicono che il Marocco non è la sola squadra africana presente perché c’è anche la Francia, i colori della pelle dei giocatori sono un grande messaggio, quando nel nostro Paese, l’Italia, manca molto quello spirito di apertura e di comunità allargata e siamo ancora fermi al ‘non ci sono neri italiani’, gridati dalle tribune, sia nel calcio che nella pallavolo”.
Comunque vada, secondo Amajou, resterà qualcosa: “In questo Mondiale sono tante le cose che ci hanno colpito, come le parole del ct della nazionale marocchina, che invita non solo i giocatori ma tutte le generazioni africane a sognare, a sognare sempre in grande”.
Curioso che il nome del pallone della semifinale sia “Al Hilm”. “In arabo”, spiega Amajou, “vuol dire sogno, un sogno, inchallah, che possa continuare”. (Agenzia Dire)