Venerdì 15 settembre alle 18, Viterbo, appuntamento al Bulicame. Dopo il successo delle prime tre tappe precedenti tocca a “Beatrice e le altre – ‘Quote rosa’ nella Commedia dantesca: Francesca Pia Piccarda, peccatrici e pettatrici – Dante a Viterbo”. Quarto episodio del nuovo ciclo di passeggiate “Viterbo, la città delle donne – 7 passeggiate/racconto al femminile”: una iniziativa patrocinata e finanziata dal Comune di Viterbo e dal Distretto dell’Etruria meridionale e realizzata per le cure del sottoscritto e di Banda del racconto (in collaborazione con Davide Ghaleb Editore). Un progetto nato da un’intuizione della vice sindaca Luisa Ciambella. Per questa volta i miei racconti prenderanno la forma di una speciale lectio magistralis itinerante. Regia e letture di Pietro Benedetti. In scena: Laura Antonini nel ruolo di una “pettatrice” viterbese ai tempi in cui al Bulicame si portava a macerare la canapa. Costumi storici di Nicoletta Vicenzi. Alle percussioni Roberto Pecci. Luisa Ciambella porterà i saluti dell’amministrazione comunale.
Partecipazione gratuita.
Chi dice Dante dice Beatrice…
di Antonello Ricci
Proprio vero, chi dice Dante dice Beatrice. Anche se, per la cronaca, Bice nella Commedia si presenta in scena piuttosto tardi (“personalmente-di-persona” avrebbe esclamato Totò): al culmine di uno spettacolare-allegorico sacro corteo sulle sponde del fiume Lete, dalle parti del Giardino Perduto (deserto fin dai tempi della cacciata di Eva e suo marito). Siamo in cima alla montagna sacra, sorta di Cape Canaveral per l’imminente inedito stupefacente lancio in orbita del poeta (“trasumanar significar per verba non si porìa”) attraverso i cieli della cantica paradisiaca. Purgatorio XXX. Entra tardi in scena, dunque, la Musa dantesca. Ma lo fa da par suo: unico personaggio che si permette di chiamar per nome il sommo poeta. E non appena gli si rivolge, apostrofandolo con un imperioso ’triscio-e-busso (qualcosa del tipo: “Ma con che faccia, ti presenti quassù? Vergognati!”) lui scoppia a piangere. Singhiozza come un bimbo rimbrottato dalla mamma. Detto á la Fantozzi: una cazziata mostruosa. Pazzesca e memorabile. Gioverà ricordarlo: la Bea della Commedia non è più neanche l’ombra di quella laudata – anni prima – nei prosimetri della “Vita nòva”. Eh sì, perché il Poema sacro (cui han messo mano e Cielo e terra) è anche una storia di conti a saldare con la propria esperienza (e la propria concezione) poetica giovanile.
Così, nell’indimenticabile episodio di Francesca (Inferno V), quello con la triplice struggente anafora di “amor”, si registra anche una radicale e definitiva presa di distanza dalla poetica dell’amor cortese e dalle tentazioni peccaminose che certi libri (Galeotto – rigorosamente con la maiuscola – “fu il libro”) portano con sé (“la bocca mi baciò tutto tremante”).
Laddove l’apparizione luminosa di Piccarda (Paradiso II) – incolpevole vittima di stalking familiare: sforzata infatti a uscir di convento dal fratello Corso, ambizioso e feroce capobanda dei Neri fiorentini, ella s’era conquistata beatitudine eterna – par sigillare il precedente incontro di Dante con l’altro Donati, il mite poeta Forese (Purgatorio XXIV): episodio in cui il fiorentino, mentre dialoga con Bonagiunta da Lucca – e sembra liquidare il guittonismo – sta invece archiviando per sempre proprio l’avventura letteraria del “Dolce stil nòvo”.
E poi ci sarebbe la dolce Pia (Purgatorio V), la cui tenera voce porta in scena una delle più commoventi leggende di Maremma. O l’altra senese – brutta questa, vecchia e stoltamente invidiosa – che risponde al nome di Sapia (Purgatorio XIII) e che immortala, negli indimenticabili versi di Talamone e della Diana (quel fiume sotterraneo che Siena, invidiosa dell’Arno fiorentino, desiderava tanto ma che non ebbe mai) la proverbiale “vanità” dei suoi concittadini ai tempi delle lotte fra liberi Comuni. O, ancora, sulle tracce del passaggio di Dante a Viterbo: le donne cantate in Inferno XIV erano le prostitute viterbesi tristemente esiliate dalla comunità locale nei pressi del Bulicame (“peccatrici”) o le oneste contadine (le “pettatrici”: operaie della canapa) di “Piescarano”? E ancora-ancora, appena pochi decenni dopo, ci sarebbero pure le disavventure capitate a Petrarca di passaggio tra Bolsena e Viterbo. Col primissimo piano del poeta di Laura che verga una delle sue lettere familiari: egli porta un anello al dito, glielo ha donato – qualche settimana prima – il grande Boccaccio. E poi. E poi. E poi Ma questo vorrebbe essere un semplice “pezzo” di colore, non un saggio di critica letteraria. Per chi volesse proprio-proprio saperne di più, ci vediamo venerdì 15 settembre al Bulicame. Non mancate!
Dopo il successo dei primi tre episodi (Galiana bella, Vittoria Colonna e Rosina la santa giovinetta) ribadiamolo: la sfida intrapresa da Banda del racconto con questo inedito ciclo di passeggiate-racconto, non era delle più facili né prevedeva esiti scontati. Perché quand’anche – anche a Viterbo – le donne sembrino, qua e là, nel corso dei secoli, essersi affacciate da protagoniste ai piani nobili della storia, con il tocco straordinario di una “differenza” di genere, esse sono comunque rimaste Senza-Voce. Eh sì, perché la storia è e resta scrittura. La scrittura è potere. E il potere, ahimè – soprattutto quello dell’inchiostro, dello stilo e della gomma da cancellare – è sempre stato brandito dagli uomini. Questo, al tempo stesso, l’aspetto più appassionante di tale sfida: sfregare e rievocare, dalla lampada magica di carte vergate in terza persona da un narratore maschio, una voce femminile in prima persona. Recuperarne, con umiltà, la luminosa soggettività.
Prossimi episodi della serie. Domenica 1 ottobre (mattina): “La Pimpaccia de piazza Navona”, appuntamento con Donna Olimpia sul sagrato dell’abbazia di San Martino al Cimino. Domenica 5 novembre (mattina): “Ati principessa etrusca”, appuntamento nella pittoresca cornice della necropoli di Castel d’Asso.