di Alessandro Tozzi
Dopo la tempesta di ieri torna la calma, anche troppa: un solo argento, ma pesante, quello di Vanessa Ferrari, nel corpo libero, è la prima volta di un’italiana sul podio nella storia della ginnastica: nel 1928 la squadra italiana, composta da 12 ragazze aveva vinto l’argento nel concorso a squadre. Qualche anno dopo le 4 ragazze ebree vennero deportate ad Auschwitz, nemmeno vincere una medaglia olimpica dava la certezza di essere al sicuro.
A proposito di regimi, è assai triste la storia della duecentista bielorussa, che aveva criticato la scelta tecnica della Federazione del suo paese di schierarla nella staffetta dei 400 metri, Federazione che l’aveva subito cancellata dai giochi, obbligandola a rientrare coattivamente a casa. Lei si è ribellata, chiedendo l’aiuto del Cio e delle autorità giapponesi, che è arrivato mentre lei si stava reimbarcando per l’Ucraina e alla fine ha vinto lei, ottenendo anche un visto per la Polonia: storie del terzo millennio.
Ieri la doppia medaglia d’oro nell’atletica ha calamitato l’attenzione nei confronti di Tamberi e Jacobs, e rispettive famiglie, con tanto di telefonata di Draghi compresa (col saltatore che diceva veniamo, ci fa piacere, non si preoccupi); la nostra Simeoni come rivedeva le immagini cominciava a piangere, chissà se fra 40 anni Tamberi piangerà in tv per la medaglia di un saltatore con la stessa partecipazione emotiva.
Mentre la storia di Tamberi era nota a tutti, quella di Jacobs non la conosceva nessuno, tanto che qualche giornale straniero ha ipotizzato l’ombra del doping sulla sua vittoria, considerando che appena 3 mesi fa non lo conosceva nessuno. Certo che mentre la vittoria di Tamberi è quella del cuore, quella di Jacobs è talmente sorprendente da lasciare tutto il mondo, e non solo l’Italia, a bocca aperta: mai avrei pensato nella mia vita di vedere un atleta italiano dominare i 100 metri olimpici.
Vero che la metà degli atleti olimpici della nostra atletica attuale hanno origine in parte straniera o è naturalizzata, ma questo è figlio anche della globalizzazione, oltre che della singola disciplina sportiva. Ieri Malagò, che ha detto che la giornata di ieri è la più grande giornata dello sport italiano che si ricordi (e in effetti, nonostante l’affermazione sia coatta, debbo dire che ne conto poche di simile planetaria gratificazione sportiva), si è lanciato sulla necessità di concedere agli atleti diciottenni figli di immigrati lo ius soli, per dare loro al compimento dei 18 anni la cittadinanza italiana. La questione, già trita e ritrita, in realtà è assai più ampia, anche perchè rilasciare la cittadinanza per meriti sportivi, a fronte di altre centinaia di migliaia di ragazzi che magari hanno valori altrettanto rispettabili come lo studio o il lavoro, sarebbe all’evidenza figlia di una disparità di trattamento: tu che corri i 3000 siepi sei italiano, e tuo fratello che fa il geometra no? Diciamo che Malagò nella giornata trionfale di ieri si è fatto trasportare dall’elisir di Wanna Marchi, che aveva assunto a mezzi chili per vincere degli ori, finendo col perdere di lucidità quasi come Tamberi: vogliamo un gesso anche del Presidente del Coni con scritto road to Coni 2021.
Veniamo all’argento di oggi, Vanessa Ferrari, un’altra storia di sofferenza e resurrezione italica, ormai ci stiamo specializzando nel settore feuilleton. Considerando l’abbandono della Biles, forse lei avrebbe sperato in qualcosa di più, e tutti noi che abbiamo visto i due esercizi abbiamo difficoltà a capire quali siano le differenze fra il suo esercizio sulle note di Con te partirò e quello dell’altra americana, ma Yuri Chechi stasera ha messo fine al chiacchiericcio dell’italiano medio da pop corn in salotto: ragazzi, lei è stata bravissima, ma l’americana l’oro l’ha meritato ampiamente.
Da oggi il via alle fasi finali dei tornei a squadre, abbiamo passato il turno nel beach volley maschile, domani due big match, peccato per il volley femminile che sembra aver perso lo smalto e fra due giorni rischia di andare a casa senza una possibile medaglia.
Faccio una petizione alla Rai: bisogna clonare alcuni (non tutti) dei vecchi telecronisti sportivi, due su tutti Paolo Rosi e Giampiero Galeazzi, coautori di pagine indelebili della storia dello sport italiano: la telecronaca della vittoria degli Abbagnale, o quella impressionante di Mennea a Mosca (che rivista fa ancora venire i brividi perchè Mennea nei 50 metri finali lo mesmerizza annientando il solito povero inglese, nel caso di specie Wells) sono parte del patrimonio nazionale, come Nando Martellini e Niccolò Carosio.
Lucchetta francamente lo preferivo in campo…

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