Che la montagna faccia bene all’anima e alla salute lo si sente ripetere spesso. Ma certe retoriche hanno declinazioni concrete e possono essere spiegate e comprese solo con esperienze, storie e progetti. Come quello del Rifugio sociale Erterle, in trentino. O come le attività di montagnaterapia che in Toscana coinvolgono non vedenti, tossicodipendenti e pazienti psichiatrici. E poi c’è chi, come accade in Piemonte, ha pensato bene di organizzare escursioni con pazienti psichiatrici nelle zone del Centro Italia colpite dal terremoto per promuovere (anche) l’economia del territorio.

Storie, queste, che il Cai – Club alpino italiano ha deciso di raccontare al Festival del volontariato in corso a Lucca organizzando l’incontro “Montagnaterapia, tra cura e inclusione”. Il progetto che in estate porterà un gruppo di ospiti del centro diurno nelle zone terremotate si chiama “Passaggi in quota” e a promuoverlo è la sezione Cai di Torino insieme al dipartimento di salute mentale dell’azienda sanitaria torinese. «Insieme a loro camminiamo da un pezzo. So bene che sono pronti ad affrontare questo trekking estivo» spiega Marco Battaìn (Cai Torino). «Alcuni pazienti della salute mentale sono diventati soci Cai e partecipano alle attività ordinarie della sezione, dalla scuola di escursionismo e alle gite». Insieme a Ornella Giordana, Marco fa parte anche del gruppo di montagnaterapia “La montagna che aiuta”. Hanno siglato un protocollo con la Regione Piemonte e da anni lavorano anche con comunità terapeutiche per persone con doppia diagnosi; cioè con chi, oltre a problemi di dipendenza, ha anche difficoltà di natura relazionale e psichiatrica.

«Quando parliamo di montagnaterapia dobbiamo pensare a un approccio di tipo terapeutico e riabilitativo» spiega Ornella. Infermiera di mestiere, da 15 anni è accompagnatrice e istruttrice in una scuola di escursionismo, mentre da 8 è responsabile del gruppo “La montagna che aiuta”. A Lucca, all’incontro moderato da Luca Calzolari (direttore del mensile Montagne360), Ornella Giordana è arrivata accompagnata dal suo cane da pet therapy. «La montagna restituisce attività perdute e ha un forte potere trasformativo. Qua il gruppo non è competitivo, ma cooperativo. Ci si aiuta e s’impara a contenere le ansie, condividendo però le emozioni. Entrare in contatto con la fatica è anche un modo per prendere consapevolezza del proprio corpo» aggiunge. L’attività però non si concentra solo in ambito psichiatrico. «Ci occupiamo di disabilità motoria, sensoriale e cognitiva. Ma anche delle dipendenze. Gioco, alcol, droghe. Poi lavoriamo con i minori, favorendo l’inclusione. E infine c’è la promozione della salute. Affrontiamo situazioni patologiche come l’infarto e il diabete e promuoviamo progetti che coinvolgono i bambini che hanno concluso trattamenti oncologici».

Dal Piemonte al Trentino-Alto Adige il passo è relativamente breve. A legare queste due regioni è la solidarietà cooperativa. E così la montagnaterapia si fa inclusiva anche in ambito professionale grazie al Rifugio sociale Erterle, aperto dalla Sat – Società alpinisti tridentini nel cuore del Lagorai, in Valsugana. «Durante un’escursione è nata in noi l’idea (e la voglia) di aprire un rifugio sociale. E così abbiamo fatto» racconta Giliola Galvagni (Sat). Fa parte dell’associazione “Montagna per tutti” ed è volontaria nel gruppo di trekking “Stella Polare”, nato a Trento. Dopo aver coinvolto undici cooperative del territorio, il rifugio è stato aperto nel 2013. «I ragazzi del centro di salute mentale di Trento hanno cominciato a lavorare nel rifugio, grazie alla borsa lavoro. Abbiamo ottenuto ottimi riscontri. Non abbiamo mai ricevuto una lamentale per il servizio» spiega Giliola. «Questo progetto ha permesso a venti ragazzi di fare un’importante esperienza di lavoro».

A tre anni di distanza, il progetto prosegue. Anzi, da quest’anno ci saranno perfino nuovi sviluppi con il coinvolgimento di altri 7 rifugi del trentino gestiti da Sat. «A partire da questa estate i rifugi apriranno le porte a ulteriori borse lavoro» racconta Sara Foradori. Anche lei fa parte della Società alpinisti tridentini. «I ragazzi, accompagnati dagli operatori, lavoreranno in turni di quattro giorni. Ovviamente tutto questo avverrà in un contesto di grande normalità».

E una straordinaria normalità è quella che lega Giuseppe Comuniello, alpinista cieco, e Aldo Terreni, istruttore della sezione Cai di Firenze e fondatore, insieme a Eleonora Bettini, del gruppo “La montagna per tutti”. Al Festival del volontariato c’erano anche loro. Durante le arrampicate, indoor e outdoor, Aldo è la voce guida di Giuseppe. Attraverso radio e ricetrasmittenti, per indicare le posizioni delle mani Aldo utilizza i riferimenti dell’orologio e del corpo. «Di lui mi fido ciecamente», scherza Giuseppe. «Quella corda che ci lega in parete – racconta invece l’amico istruttore – è una metafora della relazione che ci unisce».

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