Messi

di Alessandro Tozzi
Leo Messi nasce nel 1987, tocca il pallone a 4 anni, e come dice suo padre inizia sin da subito a dribblare come se avesse sempre giocato. Si trasferisce al Barcellona nel 2000, anche perchè gli spagnoli si accollano il peso delle cure ormonali per il piccolo Leo, di circa 1000 dollari al mese.
Esordisce in prima squadra nel 2004, e da lì gioca col Barcellona 778 partite segnando 672 reti; nel 2011/2012 ne segna 73 in 60 partite, tanto per esagerare, e a parte i primissimi anni non è mai andato sotto i 30 gol, superando per ben 6 volte i 50 (già solo questi sei anni sarebbero l’intera carriera di un bomber di razza pura).
Nell’estate scorsa, per questioni di bilancio il Barcellona è costretto a cederlo al Psg, dove in un anno e mezzo ha segnato appena 23 gol in 53 partite, decisamente sotto media.
Con l’Argentina è arrivato a disputare 172 partite, segnando 98 gol.
Dei suoi record è anche inutile parlarne, essendo arrivato a 42 competizioni vinte, ed altre ne vincerà negli anni di carriera che rimangono.
Il suo cruccio fino ad ora era il titolo mondiale sempre rincorso per eguagliare il mito di Maradona: troppo giovane nel 2006, mal guidato nel 2010 dallo stesso Maradona, finalista nel 2014, eliminato dalla vincente nel 2018, e finalmente vittoria nel 2022; nel 2016, dopo l’ennesima Coppa America persa, voleva lasciare la Nazionale, ma per fortuna ha tenuto duro.
E’ riemersa in questi giorni la querelle Messi-Maradona, chi è più forte di chi. Domanda inutilmente sfiziosa, visto che ognuno è figlio del suo tempo, ma almeno i numeri del duello diamoli, poi ognuno decida come vuole.
Dalla parte di Messi ci sono i numeri e la lunghezza della carriera, visto che Maradona praticamente smette a poco più di 30 anni, date le sue vicissitudini; da quella di Maradona, classe 1960, (311 gol nei club e 34 con la Nazionale, un numero di trofei infinitamente minore) il talento puro senza nemmeno bisogno di una squadra intorno che fa il tiki taka per valorizzarti, e un carisma invidiabile (carisma che gli ha anche rovinato in parte l’esistenza).
Dove Messi prima delle partite importanti vomitava (poi magari segnando tre gol), Maradona scherniva il mondo circostante, con proclami, smorfie e grande personalità, magari urlando fijos de puta a chi fischiava l’inno argentino: non si spiegherebbe altrimenti l’aver portato una buona fetta del popolo napoletano a tifare lui contro l’Italia in quella famosa semifinale del 1990, non sarebbe accaduto per nessun altro, in nessun altro stadio del mondo.
Messi si limita a guidare la squadra in campo, come fa da 15 anni a questa parte, mettendosi a tre quarti campo e dettando il gioco, lui la palla non l’aspetta mai, se la va a prendere; da quando ha lasciato piangendo il suo Barcellona per il Psg in appena 18 mesi ha vinto con la Albiceleste una Coppa America e un Mondiale, come se quella maglietta e le vittorie di quel club gli fossero bastate fin qui e lo avessero reso sazio in nazionale. Diego era decisamente più pigro e lunatico, veniva malmenato molto di più, aveva un gusto del bel numero assoluto, ed era un piacere vederlo giocare anche solo per quella singola straordinaria giocata in una partita magari anonima.
Messi ha avuto in carriera una continuità perfino disumana, visto il numero di partite giocate ad alti livelli; Maradona ha dato il meglio di sè in Messico 1986, dove giocò il calcio di Dio che resta forse ineguagliato e ineguagliabile visto che volava mentre gli altri camminavano, spandendo perle per grande parte della sua carriera in modo diseguale, anche se non possiamo valutarlo solo dai gol, visto che Diego non aveva alcuna tensione particolare nel cercare la rete, non sentiva il bisogno di numerare le proprie prodezze giorno dopo giorno per vincere un immaginario trofeo personale contro il nemico Cristiano Ronaldo.
Se il gol di Maradona con l’Argentina dribblando mezza Inghilterra è uno dei 2/3 gol più famosi della storia, dobbiamo ricordare che Messi lo ha fatto uguale uguale 25 anni dopo, forse anche più bello, pur riconoscendo che segnare al Getafe in Coppa di Spagna non è come segnare agli inglesi ai mondiali durante il conflitto delle Falkland, bisogna anche saper scegliere i momenti più adatti di una esistenza calcistica per tirare fuori il genio.
Diego a soli 10 anni era già un fenomeno da circo, entrava nell’intervallo delle partite dell’Argentinos Juniors, palleggiava facendo numeri per 15 minuti, e poi se ne usciva, lasciando nel pubblico l’idea che lo spettacolo fosse quel nanetto con una maglia più grande di lui, e non il secondo tempo della partita: avevano ragione.
Se Messi è un grande atleta e uno straordinario interprete di un calcio collettivo, dove lui è un anomalo solista incontenibile palla al piede, Maradona era lo straordinario interprete di un calcio individuale, legato non agli schemi ma all’uomo, come atleta ha lasciato parecchio a desiderare in vari momenti della sua carriera e forse non sempre si stuzzicava adeguatamente il suo orgoglio di far vedere ogni domenica di essere il più grande, perchè l’uomo non è mai uguale a sè stesso in due momenti della vita, come avrebbe detto Eraclito più di 2000 anni fa.
Giunto il momento di eleggere un vincitore, mi accorgo sia impossibile, e passo, ognuno sceglierà, i matematici e i concreti saranno per Messi, i poeti e i nostalgici per Maradona, come potrebbe essere nel duello fra Crujff e George Best, per dirne un altro fra due fenomeni assoluti.
Quel che è certo è che se Diego rimane per sempre El Pibe de Oro, a uno come Messi non possiamo che tirar giù il cappello e dargli del Leo….

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