di Efisio Collu
Paolo Rossi è stato un po’ come Garibaldi, l’eroe dei due mondi, ma forse sarebbe meglio dire l’eroe delle due vite, quella precedente al calcio scommesse e quella posteriore a quel losco gito d’affari nel quale fu messo in mezzo. Esplose a Vicenza in serie B, si confermò a Perugia, svanì due anni per le accuse di Trinca e Cruciani, si riaffacciò poco prima del mondiale spagnolo e pareva non esser più lui. Invece prese per mano la squadra e con tre gol rifilati al Brasile, due alla Polonia e uno alla Germania, accompagnò gli azzurri al titolo di campioni del mondo, un alloro che in Italia mancava dai tempi di Vittorio Pozzo e Peppino Meazza. Di Rossi in questi giorni è stato detto e scritto di tutto, che era un bravo uomo, una persona per bene, e tutti sono stati d’accordo nell’affermare che era unico. Gli unici ad andare contro-tendenza sono stati gli sciacalli che mentre si svolgeva il funerale di Pablito gli hanno rubato dentro casa

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