Venezie e Sciangai (sì, si scrive proprio così); Italo Calvino in Maremma; Herzog e Kinski “migliori nemici”, Pirandello, il cinema muto e quello parlato; Fellini in laguna, Zanzotto in bicicletta; l’artista Carlo Vincenti a Siena; la muerte de Pablo Escobar e los sicarios-bambini di Medellìn; il Pianeta delle scimmie e Alien; le “rovine dal futuro” del non-finito Ospedale Psichiatrico di Viterbo negli scatti di Lorenzo Ricci; Ulisse vs Demodoco intorno alla tavola imbandita di Alcinoo. Potremmo seguitare. Il nuovo lavoro di Antonello Ricci, “Giardino e morte del signor Palomar e altre storie” (Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2018) è davvero un libro meticcio. Un caleidoscopio frulla-cervelli. Un volo alla Icaro. Si compone di 7 testi realizzati tra 2011 e 2018. Difficili da catalogare. Quanto alla forma: la scrittura si svolge (come al solito per Ricci) in versi da poemetto. Ma se consideriamo lo sviluppo dei temi, ci troviamo al cospetto di veri e propri “racconti critici”. Ciascuno di essi concepito a sé stante, in perfetta autonomia. A tenere insieme la raccolta però, a farne un libro, il disvelarsi inatteso, in corso d’opera, di una pulsione all’autobiografia (seducente quanto maliziosa e costantemente esposta ai rischi di una “pornografia” della vita). Il gioco, agli occhi del lettore, è reso più anche più intrigante dalla “natura” vampiristica della stesura – spingentesi a tratti fino al vero e proprio cannibalismo rituale – da cui – una volta tanto buttando a mare ogni beneamato scrupolo filologico – Ricci è stato a sua volta sedotto e vampirizzato…