di Alessandro Tozzi
Il Capitano a un certo punto dice “io quando esco per strada non sono Francesco, sono un monumento”: tutto il film nasce da questa (vera) premessa. Le lacrime piante per lui dai romanisti il giorno dell’addio il 28 maggio 2017 rimangono nell’immaginario collettivo come una sorta di gigantesco rito pagano, nel quale una comunità salutava una delle maggiori divinità della sua storia che lasciava il calcio.
Le divinità poi vanno e vengono, talvolta sono brasiliane altre portoghesi, e non è necessario essere nati a Porta Maggiore per stare nell’Olimpo degli dei, ma certo aiuta, come aiuta la durata della permanenza.
Il film affronta la vita di Totti più o meno come quella di un santino o forse santone, un uomo senza macchia e senza paura, con l’unico piccolo difetto della permalosità (e le scuse al povero Vito Scala, spinto via e finito per terra mentre cercava di calmarlo a Livorno dopo un’espulsione sono forse l’omaggio più bello del film).
Un uomo che, pur tornando da un grave infortunio, non aveva alcuna paura a battere un rigore al novantesimo contro l’Australia che aveva in porta uno spilungone alto 2 metri, e a 40 anni era ancora più in forma dei suoi compagni (nell’ultima partita Totti entra e prende il posto dell’allora 25enne Salah); un uomo che solo il cattivo Spalletti poteva cacciare dalla Roma, altrimenti avrebbe continuato a giocare ancora oggi, come fa con la sua squadra di calciotto.
Il cuore del tifoso è pronto a qualsiasi affermazione da parte del Capitano o sul Capitano, il quale ha in mano la verità e 3 milioni di persone ai suoi piedi: inutile discutere con loro di Francesco, che la quasi totalità di loro ritiene uno dei tre più forti giocatori italiani della storia, convinti così di essere stati sufficientemente imparziali, se fosse per loro avrebbero detto direttamente il più forte e buonanotte.
Sulle doti calcistiche del Capitano c’è poco da dire, 250 gol in serie A lo stanno a dimostrare.
Su quelle temperamentali qualche dubbio 25 anni di Roma con pochi risultati per il materiale umano a disposizione (e non solo) ce li fanno venire, e anche il fatto che oggi un’icona come lui sia a casa sua a giocare a padel, e non a Trigoria a fare la bandiera h 24 in effetti fa pensare.
La lista di dubbi sarebbe lunga, ma l’elenco sarebbe diffamato come un attentato al Papa, e quindi non lo faremo: le cose chi le sa le sa, e chi non le sa non le vuole vedere.
Il Capitano, questo possiamo dirlo, è una grande invenzione mediatica di Maurizio Costanzo, che nel 2004 dopo lo sputo a Polsen, decide che bisogna far partire su di lui un’operazione simpatia: la romanità, la famiglia, le barzellette, quella sua vena comica, alla fine hanno portato un grande giocatore come diversi altri ad essere quasi un unicum nella storia del calcio italiano, e perfino un suo rigore segnato diventa una sorta di impresa, mentre nessun accenno si fa al rigore davvero decisivo calciato in finale da un carneade come Grosso, poi dopo il Mondiale tornato giocatore di terza fascia, forse su di lui andrebbe fatto il film: Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore….
Il Capitano rimane un mirabile mix del terzo millennio di grande calciatore e fenomeno mediatico, come testimonia la sua recente separazione da Ilary trattata come il caso di Diana e Carlo di Inghilterra, mix che tanti altri giocatori italiani forti come lui, o anche più forti, non hanno saputo, o voluto mai cavalcare: nella sua generazione basti pensare a Buffon, Maldini, Baresi, Pirlo, Del Piero, Nesta, Cannavaro, ognuno fuoriclasse nel suo ruolo suoi pari in un’ideale ranking nei rispettivi ruoli, senza se e senza ma.
“Se fossi andato al Real Madrid” è una litania che abbiamo sentito da lui per anni, e il grande Cassano che al Madrid andò al suo posto, si fece 18 mesi di panchina ingrassando 10 kg: non era il mondo suo.
Non sappiamo se sarebbe stato quello di Francesco, che magari con quella maglia avrebbe vinto 4 Palloni d’oro, ma non sono i se e i ma che fanno gol e danno risultati. Totti rimane un grande calciatore che il 28 maggio 2017 ha fatto piangere 3 milioni di tifosi, rendendo iconico lo striscione “speravo de morì prima”, che poi diventerà anche una serie su di lui: questo il suo immortale lascito al mondo del calcio, e in special modo a quello romano e romanista, tutti sanno dove erano quel 28 maggio 2017 mentre lui lasciava, suo malgrado, il calcio.
Vedendo il film, le migliaia di tifosi che piangono calde lacrime allo stadio per il suo addio a me paiono il vero grande ed emozionante protagonista di questi 25 anni di storia calcistica, pur illustre e di primissimo livello: la storia siamo noi, nessuno si senta offeso.
Ciao Capitano.