È raggiante Eyob Faniel dopo lo splendido terzo posto alla maratona di New York. Che felicità per l’azzurro, protagonista della gara fin dall’inizio. “Una bellissima emozione – racconta il vicentino delle Fiamme Oro, sul podio in 2h09:52 – perché ormai era da mesi che mi allenavo con questo obiettivo ben preciso e adesso lo vedo realizzarsi. Fin dalla partenza ho avuto sensazioni buone e perciò ho deciso di fare la mia corsa, senza alcuna paura, anche se sapevo che c’era da soffrire. Ho cercato di sfruttare questa opportunità, visto che la preparazione era andata avanti in modo perfetto. Non ho voluto farmela scappare. Con il mio nuovo tecnico Claudio Berardelli, che dopo le Olimpiadi ha cominciato a seguirmi, non ho soltanto un allenatore ma anche un mental coach, e mi ha trasmesso positività”.

In testa per diciotto chilometri (dall’undicesimo al ventinovesimo) nella fuga a due con il marocchino Mohamed El Aaraby, poi secondo al traguardo, prima di essere raggiunto dai keniani Albert Korir, vincitore di questa edizione, e Kibiwott Kandie. “Ho tentato di rimanere attaccato a loro, però quando mi hanno ripreso ho avvertito un piccolo fastidio alla pianta del piede, ma l’ho gestito bene. Sapevo che Kandie era all’esordio e che avrebbe potuto subire un calo dopo 35 chilometri, credo quindi di essere riuscito a leggere la situazione e l’ho sorpassato di nuovo per prendermi il terzo posto”. Per riportare un italiano sul podio maschile della maratona più famosa del mondo dopo lo stesso piazzamento ottenuto dall’olimpionico Stefano Baldini, ventiquattro anni fa.

Ai Giochi di Tokyo, sulle strade di Sapporo, il primatista italiano (2h07:19 nella scorsa stagione) non era andato oltre il ventesimo posto, condizionato da un problema al quadricipite femorale poco oltre metà gara. “È il riscatto per quello che non sono riuscito a fare alle Olimpiadi. Mi ero preparato bene – racconta Faniel – ma lì non ho potuto dare il 100 per cento. Una sconfitta difficile da accettare, soprattutto perché non dipendeva dai miei errori. Allora ho deciso di mettermi a lavorare per prendermi quello che mi spettava. E riparto da qui per dimostrare quello che effettivamente valgo”.

Le giornate di avvicinamento alla gara di New York sono state tutt’altro che facili. “Ho svolto due ottimi periodi di preparazione in quota, prima in Eritrea e poi in Kenya da dove sono partito per gli Stati Uniti. In pratica è da metà settembre che sto lontano dall’Italia, da casa mia. L’ultimo spostamento è stato molto complicato: ci avrei dovuto mettere 15 ore per arrivare a New York, però ce ne sono volute 56, più di due giorni, da martedì pomeriggio a venerdì. Sono rimasto bloccato in Kenya per problemi legati all’autorizzazione di ingresso in Usa e poi anche a Dubai dopo il successivo scalo. Mi ero quasi arreso, ma gli organizzatori della maratona hanno fatto di tutto per risolverli e alla fine sono partito anche per il secondo volo. Ho provato ad accettare queste disavventure, senza stressarmi. E ora sono davvero contento, soddisfatto per questo risultato che mi ripaga di tutto il lavoro svolto e mi fa dimenticare i sacrifici fatti per arrivare fino a qui”.

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