di Alessandro Tozzi
Aldo Agroppi se ne è andato il 2 gennaio per una banale polmonite, lui che per tutti i suoi 80 anni di vita ha cercato di non essere banale mai.
Centrocampista di fatica, una vita spesa nel Torino nel quale esordisce il giorno dell’ultima partita di Meroni, e vince 2 Coppe Italia.
A quei tempi Toro voleva dire sia cuore granata che soprattutto odio per i cugini bianconeri, un odio ormai quasi dimenticato in campo nel nuovo millennio; un odio che dava una identità quasi unica ai granata, e che in quegli anni ’70 li portò a grandi risultati, anche se poi il Toro lo scudetto lo vincerà proprio quando Agroppi andrà via, per chiudere la carriera a Perugia.
Qualche anno dopo la panchina, un esordio promettente con una bella promozione in serie A col Pisa nel 1982, poi 2 anni dopo in una stagione a Padova accade l’inaspettato, ad appena 40 anni; la depressione
«Ora sono sveglio, allegro, ma se mi chiamava alle 8, l’intervista non gliela davo. Quando mi alzo sono un uomo morto. Poi prendo le pastiglie che, piano piano, mi rimettono in carreggiata. Ho dovuto smettere di allenare perché non ce la facevo più. E mi piaceva tanto allenare. È una tortura la depressione. Qualcuno dice che dipende da un’infanzia senza gli affetti familiari, senza il babbo e la mamma, la morte di mio fratello… Io con lei stamattina per un’ora e mezza ho portato una maschera e abbiamo ballato, ma quando finisce il ballo, quando finisce l’intervista, la maschera la devo levare. Ed ecco qui tutta la mia tristezza, le mie insicurezze, le mie paure. Io sono questo quando mi tolgo la maschera, capito?».
Per qualche anno va avanti, nel 1985 a Perugia in serie B perde solo una partita in tutto il torneo ma non sale in serie A, serie A che però raggiunge per la prima volta a Firenze nel 1985/86, finendo addirittura quarto nella stagione d’addio di Antognoni, che i tifosi gli rimproverano di utilizzare troppo poco: lo salverà il caudillo Passarella, 11 gol quell’anno con lui, dall’ira dei fiorentini che gli stavano mettendo le mani addosso, di fatto costringendolo ad andare via l’anno dopo.
Da lì il buio, con stagioni negative a Como e Ascoli, poi nel 1990 arriva la grande notorietà: diventa commentatore televisivo, uno dei primi. Ruolo per lui perfetto, perchè è sagace e ha i tempi quando mette la maschera per quelle due ore, tanto che per un paio d’anni diventa il re dei commentatori.
Poi nel gennaio 1993 l’irreparabile. Una forte e lanciatissima Fiorentina perde in casa con l’Atalanta, Cecchi Gori litiga con Radice e lo caccia, alcune malelingue dicono per avergli insidiato la moglie Rita Rusic, storie boccaccesche in riva all’Arno. E chi prendere a gennaio se non il re dei commentatori televisivi, che a Firenze c’è è già stato e conosce la piazza?
Agroppi accetta, chissà perchè, ed è l’inizio della fine.
La prima partita è a Udine, nemmeno il tempo di fare la foto di rito e la Fiorentina già perde, per un 4/0 finale. Saranno 15 partire drammatiche, con pochi punti e tanta sofferenza, prima dell’esonero in dirittura d’arrivo che non serve a niente, i viola vanno in B con una squadra da prime posizioni, con Batistuta (nientemeno), Baiano, Effenberg, Orlando, Pioli, Pasquale Bruno, Toldo, e tutti gli altri.
Se la Fiorentina va in B, Agroppi va direttamente negli spogliatoi, tanto che non allenerà mai più, ed anche le sue apparizioni televisive saranno più fugaci e tristi, contrassegnate da quei pochi mesi vissuti malamente sulla panchina viola: in questi 30 anni, Agroppi è soprattutto andato a letto presto, portandosi dietro la sua depressione, e non lo meritava.
Meglio due feriti che un morto, amavi dire quando due squadre si acchittavano un pareggio: ma oggi quel morto sei tu, non c’è pareggio.
Ti sia lieve la terra, Aldo da Piombino.
Che sarà di colore granata, senza dubbio.